Dispetto #12 – Il precariato
Ricordo perfettamente il mio esame di maturità, come ultima domanda mi chiesero: “Adesso che farai?” Risposi: “Penso la triennale, perché solo il diploma potrebbe non bastarmi”.
Invece pochi mesi dopo ero già in un ufficio, dando il via alla mia vita da precario.

Nella mia vita sono quasi sempre riuscito ad evitare il precariato. Anche nel 2008, nonostante la crisi, trovai lavoro da McDonald’s. Un paio di anni dopo, lasciando il posto a tempo indeterminato dalla multinazionale dei panini, finii in BRT. Il corriere espresso, dove accettai un contratto di due anni. Sulla promessa di un tempo indeterminato dipendente solo dalle mia abilità.
Furono due anni intensi, in cui diedi tutto me stesso per guadagnarmi la riconferma, perché il precario proprio non mi viene bene. Due anni dopo rimasi a casa senza lavoro da un giorno all’altro. Era il 2012 e io cominciai la mia vita instabile di colloquio in colloquio.
Tra aprile e luglio di quell’anno diventai cintura nera di colloqui e, per citare l’armadrillo, di come si schiva un lavoro. Fino al 31/07/2012 quando vengo assunto da un’azienda di Design. Contratto di sei mesi. Possibilità di proroghe.
Pensai di aver fatto centro, di essere arrivato nell’azienda solida, dove dovevo solo fare il mio, stare al mio posto e nessuno si sarebbe fatto male.
Non avevo fatto i conti con una variante, CapoPazza, la proprietaria.
Tutti i giorni, regolarmente, CapoPazza entrava in ufficio trovando un motivo per insultarci, tra i più fantasiosi ricordo:
- Cioccolatai
- Bastardi
- Lardi
Ammiravo la sua capacità di trovare ogni giorno una stupidaggine nuova per sbroccare.
Ricordo il gravissimo batuffolo-gate: un batuffolo di polvere in ufficio rotolante per l’ufficio fece partire un monologo terminato con: “Stronzi, dovevate segnalarmi questa mancanza della donne delle pulizie, con quello che la pago”.
Ho amato ricevere le linee guida su come si organizzano buffet, in cui c’era “preparare il caffè dei clienti quando prendono il taxi per arrivare in azienda, buttare via quelli ormai freddi al loro arrivo”. Mi sono immaginato mettere il mignolo in ogni tazzina, assaggiare, dire “questo sì” e porgerla al cliente.
CapoPazza aveva preso di mira il nostro ufficio e l’unico con un contratto precario ero io, quindi me lo rinnovò solo per altri 6 mesi, come mediazione tra chi le diceva di tenermi e il suo odio. Io provavo a essere un impiegato migliore, ma ormai ero diventato un fantasma. Ogni mio sforzo fu praticamente vano.
Finiti i secondi sei mesi per la legge di allora avrebbero dovuto assumermi a tempo indeterminato. Ovviamente lei davanti alla possibilità di togliermi dalla vita da precario disse un sonoro no. Lo fece senza aggiungere insulti, una piccola medaglia personale da mostrare con fierezza.
Riuscirono lo stesso a prorogarmi il contratto tramite un’agenzia di lavoro interinale per altri sei mesi. Gli ultimi.
Nel frattempo arrivò anche la persona che avrebbe dovuto sostituirmi. Una signora di 40 e passa anni con decennale esperienza. Era un disastro. Probabilmente la peggior collega mai avuta in vita mia. La guardavo fare i peggiori errori della storia. Sbagliava tutto lo sbagliabile, anche gli ordini in mensa.
Alternavo grasse risate pensando “Mi state davvero sostituendo con lei?” a momenti depressivi in cui ripetevo “Mi state davvero sostituendo con lei?”.
In quel periodo chiesi e ottenni la possbilità di prendere permessi per trovarmi un nuovo lavoro, guadagnandomi anche la spilletta di Lazzarone.
Quello che CapoPazza non sapeva, e non sa, è quanto sia faticoso trovare un nuovo impiego, serve un impegno quasi fosse un lavoro vero e proprio. Da aggiungere a quello di impiegato e capro espiatorio.
Nel frattempo ero anche pasticcione che non si faceva la barba e camminava piano nei corridoi per andare in bagno. Tutte skills presenti nel mio CV.
Le montagne russe emotive erano accentuate anche dai colloqui andati male. Ogni volta mi sembrava di dover scalare l’Everest da capo, e chi mi conosce sa che io mi stanco già su un cavalcavia, figuriamoci sulla montagna più alta del mondo, anche solo metaforica.
Volevo solo trovare un lavoro, non un lavoro soddisfacente, un lavoro.
Lo trovai per tre mesi in una cooperativa. Non importava la bellezza del posto o la durata del contratto, ero talmente sfinito che quando mi confermarono l’assunzione furono canti e balli, tipo Disokkupati.
Entusiasmo del tutto immotivato. Il capo di quel posto era peggio di CapoPazza, oltre ad insultare aveva anche il vizio di minacciare i dipendenti. Non era così divertente.
Finiti i mesi di contratto decisi di non rinnovare, accettando di passare dalla vita da precario alla vita da disoccupato.
Per quasi un anno avevo praticamente fatto due lavori, quello per cui ero pagato e quello di trovarne uno nuovo.
Ero sfinito, mentalmente e fisicamente. Decisi di fermarmi un attimo, di prendere un respiro e ricaricarmi.
Feci un corso di aggiornamento, migliorai il mio storytelling, iniziai a mettere le camice nei pantaloni.
Il lavoro giusto arrivò qualche mese dopo, togliendomi dalla vita da precario quasi definitivamente.
Tu hai avuto momenti di intenso precariato? Raccontamelo nei commenti
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