Dispetto #46 – Le inutili paranoie
Una volta sentii dire ad un mio zio: “Se uno si crede un grande uomo, quando cade poi si fa più male”.
Forse per difendermi da potenziali cadute future ho sempre cercato di tenere un profilo basso, o di abbassare le aspettative su di me.
È molto facile sentirmi dire che non credo molto nel mio talento, anche se onestamente le mie canzoni qualcosa valgono. Soprattutto la prossima – che puoi ascoltare qui.
Ad un certo punto della mia vita ho sentito il bisogno di cambiare qualcosa, accettare le mie debolezze e provare a superarle. Così sono andato a casa mia e ho fatto outing: “Mamma, vado dallo psicologo”.

Per anni ho pensato che la psicoterapia fosse solo una buon argomento per le battute di Woody Allen. Tipo “La psicanalisi è un mito tenuto in vita dall’industria dei divani.”
Mi sembrava qualcosa da film americano. Tipo “Io finocchio, tu morto”
Non conoscevo nessuno tra i miei coetanei che frequentasse lo psicologo, e quelli che lo avevano fatto un po’ li guardavo come entità strane. Cosa ci vai a fare in quella stanza? Come fa uno a capire quello che sei? Pensavo fosse strano.
Non ho mai sentito nell’ambiente attorno a me, e quindi anche nella mia famiglia, un’accezione positiva verso le persone che vanno da uno psicologo.
“Uno si deve conoscere da solo” sentivo ripetere spesso. “Ma se si chiama seduta, perché si fa da sdraiati” e altre battute del genere.
Per questo mi sentivo un po’ in colpa e un po’ a disagio, quando decisi di iniziare a fare questo percorso.
Adesso che è passato un po’ di tempo posso dire anche la verità. Non l’ho mai detto per scaramanzia, ma in quel periodo l’idea della paternità mi stuzzicava e io volevo arrivare preparato. Volevo essere la migliore versione di me stesso per essere il miglior padre che un’eventuale figlia o figlio avrebbe potuto avere.
Per questo non dissi a nessuno mai i veri motivi della mia scelta.
Una volta iniziato il mio percorso, fatto capire a ExMoglie che era una scelta mia, solo per poter essere migliore nella nostra coppia, si è poi posto un altro problema.
Come dico a casa “Mamma, vado dallo psicologo”?
La mia idea era un po’ quella di dirglielo come le dissi del mio tatuaggio. Buttata lì per caso.
Una mattina mentre mi lavavo la faccia mia madre vide la medicazione sul collo e mi chiese “Cosa hai fatto?” “Ah no niente, un tatuaggio” dissi svogliatamente come se fosse “Mi sono sbucciato le ginocchia”.
Lei ascoltò prima il tono della mia risposta, e proseguì fino a metà corridoio. Quando realizzò la risposta sentii un: “Cooooooosaaaaaaaa???” arrivare dal corridoio e una serie di improperi il cui unico ripetibile era “Tu non sei mio figlio!”
Forse visto il risultato della prima volta non pareva una strategia vincente. Nonostante il mio psicologo mi dicesse: “Non è obbligatorio dirlo”, io sentivo che invece avrei dovuto farlo.
Forse per dirmi dentro “Sono un ribelle mamma”, dimostrare qualcosa che non si sarebbero mai aspettati da me.
Come nella canzone degli Skiantos avrei potuta chiamarla alle 4 del mattino e dirle tutto, magari cantando. Anche questa idea presto l’ho messa da parte. Nonostante il romanticismo.
Come la Regina degli Scacchi guardavo il soffitto la notte e pensavo a mossa e contromossa. Cosa avrei potuto dire perché la delusione verso di me fosse ridotta al minimo.
Ero convinto che in qualche modo avrei deluso le loro aspettative.
Un figlio che a 33 anni va dallo psicologo. Nella storia, o nella letteratura fantasy – dipende da come si interpreta -, c’è gente che a quella età ha fatto miracoli. Io andavo a rimettere in discussione tutta la mia vita.
I miei genitori mi avevano e mi hanno cresciuto facendo sicuramente del loro meglio.
Andare in terapia per rimettere a posto qualcosa di me in qualche modo era dire indirettamente anche a loro che non tutto fosse andato per il meglio.
Pensai di provare con una tattica che nel periodo scolastico aveva funzionato.
In quarta superiore ricordo presi 2 in economia aziendale.
Se fossi stato un po’ furbo avrei capito che la professoressa mi avrebbe chiamato. Invece di essere furbo, provai a farlo.
Così il primo giorno di interrogazioni uscii per una riunione del direttivo studentesco. Vidi lei guardarmi di traverso. Aveva già capito che non avevo studiato.
Il secondo giorno di interrogazioni entrai in classe un’ora dopo, prima ero andato a fare colazione con le mie amiche Luciana e Laura. Lei aspettò, appena mi vide mi chiamò.
Dopo tre domande dissi “Prof non prendiamoci in giro, non ho studiato” e lei “Pensi non me ne sia accorta?” prese il libretto e scrisse 2.
Aspettai a dirlo a casa, due settimane dopo presi un 8 in economia politica e un 7 in informatica, lo stesso giorno. Andai a casa trionfante, avevo fatto il mio.
Dissi a mia madre: “Sai ho preso 8 in economia politica e 7 in informatica, solo che poi mi ha interrogato anche in aziendale e non ho avuto tempo di studiare e ho preso impreparato”.
Lei sospirò, disse che non faceva niente perché comunque un po’ era andata bene.
Mi restava solo da trovare 2 gioie da dirle per poi raccontare della terapia. Aspettai qualche mese, ma le gioie sembravano proprio non volere arrivare.
Niente sul lavoro, niente a casa, niente nell’arte.
Così optai per l’outing della psicoterapia senza tatticismi.
Una dichiarazione che a pensarci bene aveva la stessa valenza di “Mamma sono eterosessuale” per citare i Cornoltis. Però io mi dovetti preparare, facendo terapia.
Ho speso soldi in terapia per dire che facevo terapia. Forse avrei potuto risparmiare.
Andai a casa e dissi: “Devo dire una cosa, mamma, vado dallo psicologo”. Lei mi guardò e disse: “E quindi?”
In quel momento capii che era tutto nella mia testa, non c’era niente di male ed era un percepito distorto.
Era tutto molto più facile di quel che credessi.
Mia madre mi aveva appena insegnato che non c’è nessuna vergogna nel sentirsi in difficoltà e chiedere aiuto. Non stavo deludendo nessuno.
La scelta di fare terapia è stata una delle migliori della mia vita. Per tanti motivi ho dovuto abbandonare poi il mio primo psicologo e dopo un annetto ho sentito il bisogno di riprovarci e mi sono affidato a unobravo.com
Ho trovato la mia attuale psicologa, che mi ha accompagnato in uno dei periodi più difficili della mia vita. Se sono qui a raccontarlo è merito anche suo.
Lei direbbe che dovrei dirmi bravo da solo, ma a me piace condividere i meriti. Non mi va di sentirmi un grande uomo.
Ps: amico maschio, guardami negli occhi: non c’è nulla di male a farsi aiutare, capito? Non c’è nulla di male