Dispetto #25 – Un posto di matti
Ho già parlato più volte delle mie esperienze nel mondo del lavoro.
Ne ho cambiati così tanti da avere una serie di aneddoti infinita.
Così all’inizio del 2014, subito dopo l’esperienza da CapoPazza sono finito in un’azienda e un’esperienza talmente tanto delirante e faticosa che l’ho persino tolta dal curriculum.
E dire che io volevo soltanto un lavoro umile ma onesto, per citare la Smorfia

Nella mia vita le mie esperienze lavorative sono state di tanti tipi. Ognuna però che nel bene e nel male mi ha forgiato.
Sono stato accompagnato sul BMW da 150.000€ del proprietario di una multinazionale sentendomi dio, e poco dopo in acciaieria utilizzavo i vespasiani all’aria aperta.
Sono state le mie esperienze più “umili”, se così si possono chiamare, a farmi diventare una persona migliore. Senza nessuna retorica.
Ho pulito i bagni da McDonald’s, lavorato in acciaieria per la fermata dei forni. Qui avevo il compito di controllare le presenze degli operai, verificarne i lavori, portarli al pronto soccorso etc etc.
In altre parole ero il loro fratello maggiore. In quei due mesi intensi ho imparato tantissimo. Ero diventato amico di tutti, perché avevo seguito il consiglio del mio capo il primo giorno: “Ogni persona fa quello che le chiedi se la tratti con rispetto“.
Fu così anche da McDonald’s, dove trovai un capo meraviglioso a cui devo tantissimo.
Mi ha insegnato a trattare con la quasi pensionata, alla ragazza di 18 anni alla prima esperienza di lavoro.
Mi ha insegnato ad essere d’esempio e a risolvere i problemi, mettendo sempre il rispetto al primo posto.
Quando andai a lavorare per il corriere espresso, quello rosso con le scritte bianche, mi trovai di fronte a 50 autisti, con 50 culture diverse da trattare in 50 modi diversi.
Probabilmente li devo aver trattati molto bene, perché ad oggi molti di questi 50 se ho bisogno di un favore, sono pronti ad aiutarmi. Per me un grande traguardo, considerando che non lavoriamo più assieme da circa dieci anni.
Con queste premesse nel 2014 ho accettato di andare a lavorare per una cooperativa di facchinaggio. Il mio ruolo era quello di programmare i turni dei soci lavoratori.
Insomma avrei dovuto lavorare con etnie e culture differenti, nuovamente. Un’esperienza che mi esaltava, mi sentivo pronto ed ero sicuro delle mie capacità.
Lo stipendio non era granché, circa 1.100€, straordinari non pagati. Obbligo di lavoro 4 ore al sabato mattina. Accettai comunque. Ero gasato.
Tutto il mio entusiasmo si esaurì il primo giorno.
Mi ritrovai in un ufficio di 3 persone, due erano cugini, uno ero io.
In un ufficio così piccolo pensavo che le comunicazioni fossero facili e veloci.
Mi sbagliavo.
Per dire una cosa alla collega nella stanza accanto le si inviava una mail, in cui poi si metteva in conoscenza il gruppo “risorse umane” praticamente tutti i dipendenti.
In questa maniera al mattino ci si ritrovava con 100/120 email di cui non fregava niente a nessuno.
Queste missive iniziavano sempre con la frase “premesso che io non ne sapevo nulla…” e poi proseguivano in carteggi con cui ci si accusava delle più grosse inutilità.
- Chi si era dimenticato di dare la pettorina arancione al socio lavoratore e quindi ha lavorato con quella gialla?
- Chi non ha avvisato della fine delle cialde del caffè?
- Perché nessuno ha comprato il prosciutto crudo per festeggiare la fine del ramadan?
La ragazza dell’altro ufficio aveva un nome bellissimo, Nikita. Il capo, un uomo viscido, sporco e con anche dei difetti, nonché suo zio, quindi papà dell’altro in ufficio con me, la chiamava Makita.
Forse non era il modo di chiamarla ma solo l’inizio di un’esclamazione ogni volta che la vedeva: “ma chi t’a’ m…”
Dopo la formazione sulle mail, mi fu subito spiegato come parlare ai soci lavoratori: all’infinito e senza complementi. Le telefonate erano: “Domani tu andare Seriate”. Era una regola, perché “altrimenti fanno finta di non capire”.
Al mio “Siete sicuri?” mi venne data una risposta alla Pietro Savastano.
Vedevo il mio principio di “Tratta tutti con rispetto” finire in una nuvola degna del giardino di Ornella Muti.
Un giorno ci chiamarono tutti in riunione.
Stava avvenendo qualcosa di assurdo, c’era un fuggi fuggi di lavoratori verso un’altra cooperativa.
Furono tutti accusati di mancanza di umiltà, solo perché accettavano di lavorare per 8 ore, prendere uno stipendio più alto e ricevere 13ma e 14ma.
In un lavoro umile ma onesto era sacrosanto avere dipendenti da 17 ore al giorno (ve lo giuro), sottopagati, a cui venivano trattenuti 100€ sullo stipendio perché la cooperativa era in perdita, ovviamente solo la 13ma.
Nessuno dei presenti si spiegava come mai i soci lavoratori preferissero andare via.
Non se ne capacitava neanche il Viscido che ci tenne 5 ore a sentire il suo sproloquio e poi ci mandò a lavorare. Tornai a casa alle 21.30 quella sera. Straordinari non pagati.
Odiavo quell’uomo.
Forse per questo mio odio un po’ giustificavo il figlio. Un bimbo di 22 anni che ogni tanto avrei accarezzato altre lo avrei preso a sberle dalla mattina alla sera.
Non era colpa sua. Neanche quella mattina di un sabato di febbraio. Avremmo dovuto lavorare solo io e lui. Ovviamente le chiavi dell’ufficio le aveva lui.
Appuntamento alle 8.30. Io mi presento.
Alle 8.45 non lo vedo arrivare e mi preoccupo, così lo chiamo. Non mi risponde.
Alle 9.53 chiamo il numero due dell’azienda, anche se così FIglioDiViscido fa una brutta figura.
Chiamo Viscidino – perché un capo si sceglie gli aiutanti a sua immagine e somiglianza – e non mi risponde. Riprovo, stesso risultato.
Riprovo a chiamare il FiglioDiViscido sono le 10.11, mi risponde.
L’aria ancora addormentata, non si scusa e andiamo di sopra a lavorare. Faccio notare con umiltà che io alle 12.30 devo andare via.
Non fui ascoltato, e finii alle 14.30, lui alle 13.00 perché aveva fame.
Pochi giorni dopo venni richiamato da Viscidino perché non lo avevo chiamato prima, e il turno inizia quando si entra in ufficio, quindi io non avevo diritto di lamentarmi.
Pensai di essere su scherzi a parte, e la telecamera messa in ufficio per controllarci accresceva questo dubbio.
Accanto a me Nikita si spegneva sempre più, dall’altro lato FiglioDiVIscido dopo vari lamenti si fece comprare un ristorante da PapàViscido. Almeno così in caso di fame improvvisa non avrebbe lasciato il posto di lavoro.
I soci lavoratori continuavano a lavorare in una cella frigorifero, per 17 ore al giorno, piegando la schiena per 200 volte l’ora altrimenti sarebbero licenziati per calo della produttività.
Me ne andai appena mi fu possibile. Continuando nella mia ricerca di un lavoro umile ma onesto.
Raccontami la tua peggior epserienza lavorativa nei commenti. Sono curioso di leggerla.