Dispetto #35 – L’incapacità di stare bene
Oggi stavo pensando a cosa scrivere per questo articolo del mercoledì. Ho un calendario editoriale e teoricamente dovrei aver già deciso tutti gli argomenti da trattare da qui al 29 di giugno.
In verità molti li ho cambiati rispetto alle aspettative, ho tenuto la Juve e Ligabue, ma vi siete persi un articolo sulla sexosomnia di cui soffro, uno sul mio non amare le discoteche e un altro su quella stronza delle mia prof d’arte alle medie.
Li tengo nel cassetto, oggi sul calendario c’è scritto “inconsapevolezza”.
Quando l’ho scritto ho pensato a quelle volte in cui mi succedevano cose e io non avevo nessuna reazione, come se la mia infanzia sia stata solo guardare le cose passare, senza nessuna emozione.
Così ho deciso di parlare di quello che provo adesso e farmi la domanda domanda d’esordio del mondo e la mia risposta è “Sto bene e un po’ mi vergogno”.

Oggi è il 24 maggio, il Piave sta in silenzio, e posso dire che la mia risposta alla domanda “come stai?” sia proprio “sto bene” e lo dico con una felicità e un sensazione di benessere per cui provo vergogna.
Lo faccio perché mi guardo attorno e penso che non ci sia niente di cui essere felici. Non più di due mesi fa piangevo l’essere stato rifiutato da una ragazza tenendo un piede sulla ringhiera del terrazzo, mio papà balla sul filo dell’equilibrio tra il qua e l’altrove, non sono pienamente soddisfatto della mia situazione lavorativa e mi sentivo veramente, veramente solo.
Ricordo i primi giorni di aprile in cui Marta, Tizi, la Aly (sì oggi faccio i nomi) mi hanno tenuto su, con i loro consigli, con il loro ascolto, la loro amicizia.
La sera del Canta Indie a Seregno la Mavi e la Maddi – ok ho solo amiche donne – mi hanno raccolto da terra e rimesso in piedi.
Mi sono sentito fortunato.
In questo periodo mi è capitata un’altra fortuna, sotto forma di persona.
Non so neanche come sia successo, però da marzo in poi ho iniziato a parlare con una ragazza (con la solenne promessa di non provarci mai – una delle scelte migliori di questo periodo) e siamo diventati due persone che si raccontano le giornate, si confidano i segreti e si danno la buonanotte.
Due che si fidano l’uno dell’altra. Forse è perché ci siamo conosciuti in una situazione di difficoltà, citando Truppi, o semplicemente perché andiamo d’accordo.
Un paio di settimane fa, mentre iniziavo a utilizzare la formula “sto bene e un po’ mi vergogno”, mettendo a letto mio padre, mia madre mi disse che il giorno dopo lo avrebbe portato in ospedale per farlo ricoverare – ora è fuori e sta bene.
La notizia mi arrivò tra capo e collo e onestamente non avevo nessuna voglia di tornare a casa.
Così scrissi alla mia Fortuna – no, il suo nome non lo faccio, non perché abbia meno meriti delle altre persone in questa mia sensazione di benessere, anzi.
Alle 22 mi ero a a casa sua. Con lei parlare è bello. È una delle cose più naturali che vivo in questo periodo, e io avevo bisogno di qualcosa di bello e naturale da fare.
Non le dissi che il giorno dopo io avrei iniziato a lavorare alle 7, quindi la sveglia era puntata alle 6.00. Mi avrebbe detto di vederci un’altra volta. Non volevo correre il rischio
La serata ovviamente scorre piacevole e troppo veloce, perché questa storia della relatività è sempre maledettamente vera.
Non saprei, e non so se vorrei, riassumere tutto quello che ci siamo detti, perché sono cose che è bello tenere nella cassaforte dei ricordi personali.
Posso dire che andare da lei, è stata un’altra delle scelte migliori di questo periodo.
Sono le 2.00 quando ci salutiamo.
Scendo piano, perché non vorrei svegliare qualcuno o perché voglio allontanarmi il più lentamente possiible da questa sensazione di pace che provo.
Penso che arrivando in mezz’ora riuscirei a dormire 3 dignitosissime ore.
Con le mani in tasca e il sorriso in faccia i pensieri sono un ping-pong tra i mesi precedenti, la ringhiera etc etc e a cosa penserebbero i MaschiAlpha di me che esco di casa di una ragazza a 50km da casa mia senza aver fatto niente di quello che loro si aspetterebbero in un racconto al bar.
Il giorno dopo avrebbero ricoverato mio padre, io avrei dormito 3 ore, la Juve aveva appena perso la coppa Italia contro l’inter. Io però ero felice, ed avevo dato modo al mio animo di essere più leggero ed essere ascoltato per 4 ore. Mi sento fortunato.
Alle 2.20 della notte chi mai ci deve essere in giro?
Quella sera ce ne era uno, uno solo stronzo oltre a me, che qualche km prima andò a sbattere contro il guardrail da solo. Alcuni pezzi della barriera di ferro erano in mezzo alla strada. Io, ovviamente, presi in pieno quel pezzo.
Erano le 2.30 di notte, il giorno dopo avrebbero ricoverato mio padre, io avevo solo 3 ore da dormire. La stradale doveva ancora arrivare, io ero disperato e furioso.
Ci vollero 2 ore per far arrivare un carrattrezzi che portasse via la mia auto con il muso distrutto. Erano le 4.30, mi restava una sola ora di sonno. Chiamai un taxi per le 6.30, perché al lavoro ci dovevo andare. A casa mi ci portò la polizia.
Il giorno dopo alle 7 con un’ora di sonno, per pranzo ordino una pizza, il mio capo decide di pagarla per me, ma non sapeva manco chi fossi. Nel pomeriggio incontro Onofrio della Carrozzeria Busnaghese (si merita la marketta) e mi risolve tutti i problemi.
Marta mi scrive che in caso io non abbia l’auto per venerdì lei mi da un passaggio volentieri, la Aly mi fa lunghe sedute di psicologia che forse dovrei pagarle, Fortuna mi dice solo “Lo sai che sono qui” parlando di papà che nel frattempo è ricoverato. Io mi sento fortunato.
Sarà che alla fine citando Gabbani: “Volevamo solo essere felici” e al momento sto bene e un po’ mi vergogno, prometto impererò anche a godere del mio benessere.
Grazie a tutte le persone che ci sono in questo momento.
E tu? Come stai?
Tiziana says:
Sempre bello leggerti Gio!! E certo l’ultimo dei miei pensieri era leggere “Tizi”😀 un abbraccio e stai sempre bene!!
giofattoruso says:
Che bello saperti tra i miei lettori ❤️
A presto