stasera cucino io

Stasera cucino io

Tempo di Lettura: 4 minuti

Dispetto #48 – Masterchef

Ho sempre pensato ai cuochi, pardon Chef, come a delle persone sfortunate.
Passano la giornata a prepararsi, pensare il piatto perfetto, l’abbinamento giusto e poi a tavola arriva uno convinto che le migliori patatine fritte siano quelle di KFC.
Immagino il loro dolore nel non vedere apprezzato il loro talento.
La cucina e l’arte sono discipline molto simili da un certo punto di vista. Entrambe nutrono e entrambe però rischiano di essere fruite da chi non le sa comprendere.
Io non sono un artista in nulla, penso solo che cucinare sia un gesto d’amore, verso se stessi e verso la persona per cui si prepara. Per questo “Stasera cucino io” è una bellissima frase d’amore. (Sì mi sento un po’ Luciano De Crescenzo in questo momento)

Stesera cucino io
Stasera cucino io? Sì ma prendo hummus già fatto e verdure crude

La tavola imbandita è uno dei ricordi che molti hanno di quando si era bambini. In casa mia, ma credo forse in tutte le case, il pranzo della domenica era quasi una liturgia religiosa.
Il profumo delle cose che in preparazione in cucina. Le polpette al sugo o quelle fritte di melanzane. Noi che proviamo a rubare le frittelle appena fatte e lei che ci da una sberla sulla mano dicendo “No, che si secca l’olio” – questa è un po’ come la storia dell’uomo nero secondo me.

Sederci a tavola, ognuno con il proprio posto assegnato. Io e mia sorella perennemente dal lato del muro, così che alzarci fosse scomodo e toccasse a mio fratello riempire la brocca d’acqua. Papà a capotavola e mamma, con mio fratello appunto, dall’altro lato. La domenica poi arrivava anche lo Zio e si sedeva dall’altro capo della tavola.
Era una tradizione. Come lo era la telefonata delle 11 circa alla tabaccheria di zio per dire “Ha detto la mamma se vieni a mangiare?”, quasi fosse una preghiera o un rito magico, tipo Maradona che palleggia a centrocampo.

Deve essere per questo che la cucina e il cucinare per me sono atti d’amore.
Anche se alla vigilia di Natale quando arrivavano i gamberoni in tavola tutta questa aurea di sentimento si perdeva e saltavamo sul tavolo come i protagonisti di Miseria e Nobiltà sugli spaghetti.
Di quelle cene forse ricordo ancora di più l’attesa, rispetto al sedersi a tavola. Il “facciamo il menù” e poi tutto quello che ne conseguiva. Con gli spaghetti, la frittura di pesce e i gamberoni alla griglia.
L’aperitivo di zio fatto con le cipster e il gorgonzola, noi che avevamo i primi approcci al vino bianco, papà che apriva le bottiglie migliori.

Io, cresciuto in mezzo a tutto questo, guardavo e cercavo di imparare. A dire il vero non ci sono mai riuscito granché. All’inizio mi illudevo di essere bravo, ma era facile.
Quando preparavo qualcosa per me, o chi veniva a cena da me, lo facevo sempre con i prodotti del negozio dei miei.
Fare una pasta alla crudaiola con la loro pasta di Gragnano, mozzarella di bufalala e pomodorini era molto semplice, perché tanto usciva buona per forza. Gli altri si stupivano, perché tutto questo succedeva quando ancora si credeva che la Barilla fosse la pasta migliore di tutte.

Con il tempo, quando sono uscito di casa dei miei e loro il negozio non lo avevano più, mi sono accorto che per cucinare serve pazienza, preparazione e un po’ di amore. Come solitamente dice chef Cannavacciulo.
Sono un campione nel fare gli Hamburger, visto il mio passato da McDonald’s, e vado veramente forte sui primi.
La cosa che più mi piace cucinare, ed è il mio gesto d’amore, sono gli spaghetti con le vongole, magari bevendo un Falanghina freddo.
Il Falanghina è il mio vino preferito. Si dice che sia quello usato dai soldati romani per dar loro coraggio e andare in guerra.
Probabilmente era il vitigno impiantato sempre dai romani quando conquistavano un nuovo territorio. (Queste cose le ho lette qui)

Una volta però mi è capitato di voler dimostrare il mio amore attraverso la cucina ad una ragazza che le vongole non le mangiava. Perché non amava la consistenza viscida del mollusco.
Così ripiegai furbescamente sulla carbonara. Dai come si fa a sbagliare una carbonara? Se non sei Cracco sai anche che non ci va la cipolla.
Iniziammo con il fare la spesa assieme e in quel frangente mi disse anche “No guarda, io il pecorino non lo mangio”. Diventava tutto molto più difficile.
Presi anche la pancetta al posto del guanciale. Volevo dimostrare di saper fare tutto senza essere ancorato alla tradizione.

Andammo da lei, in una cucina che non era la mia, in una casa che vedevo per la prima volta. Però volevo conquistare il suo cuore, e quindi dovevo per forza impegnarmi.
Non avevo capito se fosse una ricetta da fare in due o avrei dovuto prendere un po’ le redini della situazione. Però per conquistarla dissi: “Stasera cucino io”.

Partii con le uova, siamo in due ne misi due, sbattute malissimo. Poi l’acqua per la pasta, mentre l’acqua stava iniziando a bollire lei prese gli spaghetti e fece per spezzarli.
Se avesse preso il mio cuore e facendo lo stesso gesto avrei sofferto molto molto meno. Vidi in quel momento tutta la nostra potenziale storia iniziare: noi felici in viaggio verso mete esotiche, poi una casa con il giardino, un matrimonio che Ferragnez levatevi, ma poi terminare tutto così.

Vinsi la battaglia dell’integrità degli spaghetti, dicendo qualcosa tipo “Beh tranquilla ci penso io”.
Nel frattempo buttai la pancetta dentro le uova, che erano montate malissimo, il formaggio non aveva aiutato, il grasso aveva smontato quel poco che c’era.
Volevo fare il fenomeno, quindi per far vedere come avrei mantecato bene la pasta con quel sughetto così succulento versai tutto in padella ancora sul fuoco.

In meno di un minuto quella carbonara divenne una sorta di frittata. Se al posto della pancetta ci fosse stato il cotto e avessi aggiunto dei piselli avrei potuto chiamarli “Spaghetti alla cantonese” vantandomi di una mia ricetta segretissima.
Invece uscì veramente un piatto immangiabile, il fatto che lei lo mangiò fu un segnale inequivocabile che comunque per noi ci sarebbe stato un roseo futuro assieme.
Quando però poi tutto inizia su una bugia non può durare, e quindi è andata un po’ come ad Edoardo Leo in quel gioiello che è “Lasciarsi un giorno a Roma”.

Tu hai mai cucinato qualcosa per qualcuno? Se ti va raccontamelo nei commenti.

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