sogni mondiali

Sogni Mondiali

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Dispetto #57 – Il calcio

“Se non segui il calcio non sei una persona migliore degli altri, semplicemente non segui il calcio”. È un mantra che ripeto spesso a chi, con un po’ di puzza sotto il naso, vuole farci la morale perché seguiamo lo sport più famoso del mondo.
Questi mondiali, per via dei diritti civili, per la corruzione e il modo in cui sono stati assegnati, ben raccontati dal Corriere, non piacciono neanche a me.
Per me il calcio è una passione, qualcosa che cerco di vivere con moderazione, fallendo sempre miseramente.
Soprattutto durante le partite della nazionale nelle competizioni internazionali.
I miei sogni mondiali erano come quelli di D10S. I mondiali avrei voluto giocarli, mi sono accontentato di guardarli.

sogni mondiali
Sogni mondiali che iniziano in un parco sotto casa

Da bambino il calcio lo odiavo. Il mio talento maggiore era quello di ottimizzare il numero di tasti da schiacciare sul telecomando per selezionare il canale desiderato.
Coi vecchi televisori ,per le cifre sopra il 9, bisognava schiacciare il tasto con le due lineette per comporre i numeri a due cifre. Io facevo il conto sul numero di tasti da premere per arrivare al canale che mi serviva.
“Devo mettere sull’undici? Se schiaccio le due linee e due volte 1 sono tre pressioni, se faccio 9++ sono lo stesso due, ma se poi voglio mettere sul 6 mi risparmio di dover rischiacciare le due linee.”
Ero pigro in tutto – ciao Bill Gates ti posso mandare un cv?.
Così quando i miei genitori, in terza elementare, decisero che avrei dovuto fare uno sport e mi iscrissero alla scuola calcio, io fui molto contrariato.

Di quegli allenamenti non ricordo praticamente nulla.
Andavo, ma non vedevo l’ora di tornare a casa per rimettermi sdraiato sul divano e guardare le Tartarughe Mutanti Ninjia o D’Artagnan e i Moschettieri del Re.
Un giorno l’allenatore chiese: “Chi di voi vuole fare il portiere?” io alzai la mano, ma semplicemente perché il portiere non corre. Poi mi sembrava un ruolo importante o semplicemente quando lo chiese pensai di alzare la mano senza far nessun tipo di ragionamento, che avevo otto anni e mica ero tanto sveglio.

Il calcio era noioso. Lo guardavano tutti, a me non dava nessuna emozione.
Dovevo andare a fare gli allenamenti, le partite. Non mi interessava nulla di niente. Vincere, perdere, pareggiare, partite sospese per uragani, poteva succedere qualsiasi cosa, avevo la stessa reazione di Marina Massironi nei Bulgari di Aldo, Giovanni e Giacomo. I miei compagni facevano sogni mondiali, io ancora no.

Cominciai a sognare anche io insieme a loro” – per citare il poeta – nell’estate del 1994. Ne ho già parlato qui, quei mondiali mi hanno segnato in qualche modo, è uno dei punti di svolta della mia vita.
Ero a Cupra Marittima con i miei al mare e qualcosa dovevo fare. Un giorno in acqua vidi da lontano una ragazza, c’è sempre una ragazza nei punti di svolta della mia vita. Stava giocando a racchettoni in acqua con suo fratello, e io recuperavo la loro pallina quando uno dei due la lisciava.
Attaccai bottone con il fratello e ora di lei non ricordo nulla, neanche il nome. Da lì in poi divenne solo La SorellaDiAlessandro.

Alessandro era di un paese vicino Milano e diventammo grandi amici quell’estate. A lui il calcio piaceva moltissimo, io continuavo a non capirlo.
Però lui, che era di poco più grande di me, me lo rendeva semplice e bello, mi spiegava le regole, chi erano i calciatori più forti, quelli più scarsi.
Mentre lui mi erudiva su questo sport, Roberto Baggio regalava sogni mondiali ad una nazione intera, e mi faceva innamorare maledettamente di quest’arte.

Baggio è come Battisti, quasi nessuno ti dice che lui è il suo calciatore preferito, e nessuno lo dice di Lucio come cantante, ma quando lo nomini tutti sanno di essere davanti al più grande.
Avrebbe potuto essere tutto, forse è stato meno di quello che si sarebbe meritato.
Se penso a lui immagino un pennello sottilissimo, un tocco leggero sulla tela, una carezza d’arte.
Roberto Baggio era ed è l’espressione massima dell’eleganza, dell’unire la bellezza all’utilità. Nessun pallone tra i suoi piedi era sprecato.
Quell’anno ai mondiali segnò 5 goal. I due liberatori con la Nigeria, quello all’ultimo respiro con la Spagna – se chiudo gli occhi posso sentire ancora la voce di Bruno Pizzul dire “e segnaaaa e segna Roberto” – e i due alla Bulgaria come se fosse una pratica da sbrigare e senza troppe preoccupazioni.

Nel frattempo in spiaggia io e Alessandro passavamo le giornate a giocare a calcio. Vedevo succedere qualcosa in televisione e poi volevo riprodurla con la palla al piede. Quando non c’era lui trovavo qualche altra compagnia di bimbi con cui giocare.
Mia madre, che all’epoca aveva due anni meno di me ora, mi aveva detto che l’unico posto dove potessi andare era il parco sotto casa, perché lei dal balcone avrebbe potuto controllare.
Nel frattempo era a casa a curare mio fratello, che aveva 5 anni e la cui preoccupazione, mentre io scoprivo il calcio, era quella di buttarsi addosso alla fidanzata, bellissima, di mio cugino. Insomma mia madre cercava di evitare un caso di pedofilia al contrario.

In quel parco trovai dei ragazzi che giocavano 2vs1 e io andai a pareggiare il numero di contendenti in campo.
In poco tempo vincemmo la partita e io me ne andai, lasciandoli lì, senza presentarmi, baldanzoso come Balotelli dopo aver fatto gli unici due goal utili nella sua vita, un super-eroe del calcio che aveva salvato il più debole.
Con il senno di poi mi viene da pensare quanto potessero essere scarsi quei tre. Non lo sapremo mai, ma di sicuro non penso siano diventati calciatori professionisti.

In maniera per me ovvia, perché che la squadra per cui facevo il tifo vincesse mi sembrava la cosa più normale del mondo, l’Italia arrivò in finale con il Brasile. Loro non avevano più Pelé, mentre noi avevamo Roberto Baggio.
A Cupra Marittima misero un maxischermo in piazza e noi andammo a vederla. Quelle partite che di solito guardavo in casa su un minitelevisore con due aste di ferro come antenna diventavano di colpo un affare collettivo.

Come andò quella finale purtroppo lo sappiamo tutti.
A sbagliare il rigore decisivo fu proprio Roberto Baggio. Lo vidi piangere assieme a Baresi, il capitano di quella squadra.
Quelli che erano dei supereroi, i buoni del racconto di colpo avevano perso, erano solo e semplicemente uomini sconfitti e noi con loro.
A dire il vero per come siamo fatti noi italiani vinciamo tutti assieme e a perdere è solo la squadra. Anzi in quel momento solo Roberto.

Fu la prima di tantissime delusioni date da questo sport assurdo e meraviglioso che è il calcio, pareggiate dalla gioia di saltare in una fontana per festeggiare un mondiale vinto, battere sempre e regolarmente la Germania, gli europei del 2020 vinti nel 2021.
Non so se sia il migliore degli sport possibili, ma sicuramente è quello che ha la capacità di emozionarmi più di tutti.

Alessandro non l’ho mai più rivisto, ogni tanto mi chiedo chi possa essere adesso. Forse non si ricorderà neanche di me, dell’estate del 1994 e di avermi passato questa passione.

E tu? Quale è il tuo idolo sportivo? Dimmelo nei commenti, o raccontiamocelo davanti a una birra Giovedì 1 dicembre a La Serra per “Senza Tatuarsi Resilienza”.

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