Dispetto #75 – I desideri di paternità
Tornando a casa in pausa pranzo dal lavoro mi capita spesso di incontrare i bambini che escono da scuola con le loro famiglie.
Mi fermo a farli passare sulle strisce pedonali e spesso ne vedo uno che corre in braccio al proprio nonno pronto ad attenderlo dall’altra parte della strada. È un’immagine che mi piace da morire.
Ho visto un padre prendere la figlia che usciva, lanciarla in aria e poi riprenderla. Un gioco che quando sei piccolo piace tanto e mette paura allo stesso tempo. Anche quell’immagine mi ha fatto sorridere, parecchio.
Riparto con l’auto dopo aver visto queste scene e penso a quanto sarà bello quando potrà capitare a me. Quando sarò nonno anche io, ma poi realizzo che per poter esserlo dovrei essere almeno padre. Non sono padre, non credo lo sarò mai. Così mi fermo a pensare “se fossi padre…” come sarei?

Lo ammetto, visto il mio periodo personale, quello della paternità è un argomento che sento vivo sulla pelle. Nella mia collezione di rimpianti c’è quello di essere certo di non poter mai rendere mio padre nonno. Fortunatamente ci ha pensato mia sorella.
Però mi sarebbe piaciuto forse avere un figlio, magari maschio, e con mio padre portarlo a fare un giro per “la giornata di soli uomini”, che poi sarebbe stata solo una scusa per lasciare alla madre un po’ di riposo.
Perché se fossi padre non vorrei essere quello che aiuta in casa, no. Vorrei essere quello che fa la sua parte. Vorrei che mio figlio questo lo sapesse.
Provo a immaginarmi come sarebbe esserlo, cosa avrei io da insegnare a un figlio, o una figlia, si sa mai.
Forse pensando a questo specifico momento gli insegnerei che la vita in realtà non è così lunga come crediamo; quando gli diranno “Alla tua età dovresti spaccare il mondo” in realtà significa solo: fai quello che meglio credi e ti rende felice, trova qualcosa che ti appassioni e falla diventare la tua ossessione.
Forse gli insegnerei questo, perché io l’ho imparato troppo tardi.
Se fossi padre, a mio figlio, o mia figlia, si sa mai, probabilmente insegnerei a fare quello che sente. Dirò mille volte “Cosa ti avevo detto?” quando sarà andato o andata a sbattere la faccia contro il muro, però ci sarò, pronto ad accogliere ogni pianto.
Di questa parte ne sono certo, perché alla fine è quello che hanno fatto con me.
Forse darei qualche abbraccio in più. Quelli che ho dato ai miei penso di poterli contare sulle dita di metà mano. Però c’erano quando avrei voluto.
L’unica cosa che ho imparato davvero da questi anni è che la vita non la possiamo allungare. La possiamo solo allargare.
Lì, in quello spazio che creiamo, stanno le cose belle. Perché quando allarghiamo la vita è per farci stare qualcosa a cui davvero teniamo. Allora direi di allargare la vita il più possibile, senza fermarsi mai.
Forse mentre lo guarderei gattonare per casa farei quella citazione che mi fa sempre molto ridere di “Io speriamo che me la cavo…”: “Ma tu che ti credi? Che la vita è così? Un passo avanti e uno indietro? La vita è cacament ‘e cazz”.
Probabilmente se fossi padre mio figlio, o mia figlia, si sa mai, da me erediterebbe lo stesso sguardo ironico e malinconico sulla vita. Quello che io ho ereditato dal mio di padre.
Perché mi piacerebbe che questa cosa andasse avanti. Così come vorrei potesse ereditare la capacità ogni tanto di ragionare con la propria testa, la stessa che mi ha insegnato il mio di padre.
In realtà la possibilità che io sia un genitore splendido come lo sono i miei è veramente remota, il fatto che mio figlio, o mia figlia, si sa mai, esca coglione come me invece è quasi certa.
Eppure io sono sicuro che qualcosa di buono potrei insegnarla anche io. E poi andare a cena dai nonni, fare i compiti insieme, tornare a casa distrutto dal lavoro e cercare le forze di esserci.
Non chiedermi se chi ci gattona davanti da grande capirà i sacrifici che la madre ed io staremo facendo, ma farli e basta, in maniera gratuita.
Allora avrò imparato la cosa migliore della mia vita: dare senza aspettarsi niente, neanche che qualcuno ti dica bravo. Se così fosse, se fossi padre avrei risolto il mio più grande difetto.
Ho un sacco di capelli bianchi in questo periodo. Sto ascoltando questa canzone da tantissimo. Soprattutto quel verso che dice “non so se sarò buono come padre, non lo sono stato come figlio”, perché una cosa la so di me: ho sempre cercato di farmi dire bravo da tutti, ma quando me lo dicono i miei sento di essere felice.
Certo qualche psicologo di unobravo.com su questa mia frase ci si comprerebbe la casa nuova.
L’altro giorno – non pensavo di scriverlo in questo articolo ma ci sono arrivato per flusso di coscienza e così doveva andare – mi hanno intervistato in una piccola tv locale qui in provincia di Bergamo.
Ho visto quell’intervista registrata assieme a mio papà.
Lui in questo momento è allettato, senza quasi poter vedere l’alternarsi dei giorni. In queste situazioni è facilissimo perdere la cognizione del tempo, soprattutto se la vita ha deciso di mandarti quasi tutte le piaghe d’Egitto. (Mancano le cavallette e la morte del primogenito maschio, ecco, risparmiamoci almeno queste)
Per ridere gli ho detto “Papà venerdì alle 17.30 sono in tv, guardami eh”. Ero convinto che giustamente a quell’ora preferisse dormire, forse non se ne sarebbe neanche ricordato.
Alle 17.30 mi arriva un sms dal numero che ho ancora salvato come Papà. Era mia nipote, diceva: “Il nonno chiede su che canale dobbiamo mettere per vedere la tua intervista”.
Ecco, se fossi padre anche io farei così, perché mio figlio, o mia figlia, si sa mai, si sentirebbe importante e ricoperto di attenzioni, in un momento in cui le attenzioni dovrebbero essere tutte sul padre.
Ci sentiamo settimana prossima, ciao.
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