Quando ho scoperto di essere terrone

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Dispetto #11 – La discriminazione territoriale

Ho scoperto di essere terrone un giorno in seconda elementare. Un mio compagno di classe, con l’aria di chi ne sapeva parecchio, mi disse: “Sei di Napoli? Allora sei terrone”.
La mia reazione fu qualcosa a metà tra lo shock e la totale indifferenza. Praticamente alzai le spalle e risposi:”Va bene”. Era anche la prima volta che sentivo quella parola, quindi andai a casa e chiesi a mia madre cosa significasse. “Uno che lavora la terra”.
Io non lavoravo la terra, ero nato a Bergamo e miei erano di Napoli. Non avevo nessuna caratteristica per definirmi terrone, ma il mio compagno ne sapeva parecchio, quindi gli credevo. Ero un po’ confuso.
Confuso e terrone.

Il caffè è una delle differenze sostanziali tra nord e sud. A me però piace anche americano, sarò terrone?

Era il 1992, cadeva Craxi, il PCI si era sciolto da poco e anche io mi sentivo poco bene (semi cit.). In un’Italia in balia degli eventi saliva alla ribalta un tizio con degli occhiali improponibili e la canottiera. Si chiamava Umberto Bossi diceva di voler venire con le carabine nelle case di quelli nati sotto il Po per stanarci uno a uno. Secondo me erano solo fesserie, ma vivevo – e vivo – a Bergamo e lì molti gli davano ragione.

Personalmente non ho mai pensato che qualcuno venisse davanti alla porta di casa con un fucile in mano. Avevo dieci anni, capivo solo quello che vivevo, e nonostante la mia scoperta di essere terrone nessuno mi aveva mai discriminato.

Solo in un caso subii del bullismo territoriale, c’era da aspettarselo. Con tutti quei bambini sul bus, ci doveva essere uno stupido. L’autista.
Era un tizio con i colpi di sole, lampade solari regolarmente fatte e occhiali da sole di ordinanza anche nei giorni di pioggia. Evidentemente era lì solo per fare il bello con le mamme dei bambini.

Mi prendeva in giro usando i tipici stereotipi contro i napoletani, tipo “puzzi” o “hai il colera”. Devo essere onesto e dire che non mi ha mai chiesto di suonare il mandolino o portare la pizza.
Ogni tanto provavo a rispondere, dall’alto dei miei 9 anni non potevo vincere sul piano dialettico, anche se la sue capacità intellettive mi offrivano buone possibilità di pareggio. Ogni tanto colpivo nel segno con le mie risposte, e in quel caso mi sentivo dire: “Porta rispetto che sono più grande, maleducato”.

Tutto questo durò sino al giorno in cui mia madre lo aspettò alla fermata. Gli diede una sciacquata di testa da far diventare Scar un gattino arruffato.
Lui incassò tutti i colpi e rispose solo con “Signora, è goliardia”, una frase evergreen.
Mia madre rispose: “Non siamo amici, nessuno la autorizza ad essere goliardico con mio figlio”.
Gelo.
Porte chiuse.
Pullman che riparte nel silezio più totale.
Nei giorni successivi mi lanciò ancora qualche frecciatina, ma con il passare del tempo la finì.
Non l’ho mai più rivisto, ma non credo vorrei vendetta, anzi se potessi oggi vorrei rivedere il me di 25 anni fa e dire:

  • Non ti preoccupare, sei nel giusto
  • Loro non mangeranno mai bene come te
  • Goditi la Champions della Juve, perché non torna (questo non c’entra, ma voglio avvisarmi)

Trovare il mio posto nel mondo, da quando ho scoperto di essere terrone, è stato più difficile. Bergamasco a Napoli e napoletano a Bergamo.
Solo crescendo ho capito la fortuna di aver vissuto in mezzo a queste contraddizioni, di come due culture lontanissime (nel 1992 erano davvero due mondi diversi) mi abbiano arricchito molto.

Con il tempo ho imparato a ridere degli sfottò, ad essere il primo a prendermi in giro. Quasi a voler disarmare gli altri di questa possibilità.
Si passa attraverso molte fasi. Dal non capire, al sentirmi diverso e quasi estremista napoletano. Ora vivo un equilibrio precario, mischio l’ironia partenopea e il pragmatismo bergmasco.

Sopratutto so fare il caffè da dio. Non ci credi? Dimmelo nei commenti, verrò a dimostrarti le mie abilità.

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2 thoughts on “Quando ho scoperto di essere terrone

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