Dispetto #83 – Andare a puttane
Clamoroso: non avrei mai pensato potesse succedere, ma il sondaggio sulla mia pagina Instagram ha dato un pareggio inaspettato.
A giocarsi la vittoria finale c’erano I consigli peggiori. Quando ho visto che questa possibilità stava prendendo la via della vittoria ho iniziato ad andare a ritroso nei ricordi per rivangare quali pessimi consigli avessi ricevuto o dato. Il peggiore di questi ultimi resta sempre: “Fidati di me”.
Vedendo poi il pareggio, però, ho deciso, seguendo la mission e la vision di questo blog, di dare l’ennesimo colpo al patriarcato e far vincere la terza opzione: Andare a puttane, ovvero parlare di quello che è il mestiere più antico del mondo.

Lo dico subito: io non ho una posizione precisa sul sex work. Nulla in contrario, a differenza di quanto dissi anni fa nei miei 15 minuti di popolarità. Quello che sicuramente ritengo giusto sia che esista una soluzione che garantisca dignità a queste persone.
Ho avuto modo di parlare con persone che hanno lavorato in comunità di ragazze scappate dalla tratta.
Sicuramente quello che ho sentito sui comportamenti dei clienti, dei protettori e delle forze dell’ordine mi ha fatto star male.
Racconti che mi hanno fatto pensare alla dignità di cui sopra. Siamo una società che non ha rispetto di una donna, figuriamoci di una donna “a noleggio”.
Allora posso certamente dire di essere favorevole ad una cultura del rispetto, che poi possa portare la prostituzione ad essere un lavoro come un altro senza il rischio di violenze, sfruttamento e abusi.
Si dice che Cleopatra si fece insegnare da una prostituta i segreti per ammaliare a letto Giulio Cesare. De André ha fatto delle prostitute genovesi poesia. Da Bocca di Rosa a Via Del Campo.
Sono tantissimi gli scrittori che parlano di prostitute. Marquez ha scritto “Memorie delle mie puttane tristi”.
Molti uomini però non hanno questa visione, preferiscono la facilità. La frase tipica che si sente dire è: “Paghi l’aperitivo, la cena, il cinema e poi manco te la danno. Meglio se vado a tr++e”.
La verità è un’altra forse, perché se tu passi un’intera serata con una donna, dove paghi tutto e alla fine non concludi niente, forse il problema non è lei, ma sei tu.
Se poi durante la serata le ha anche regalato la perla: “Eh non è che posso mangiare tutti i giorni minestra” giustificando i ripetuti tradimenti alle tue ex, forse la verità è che sei interessante come una puntata de “La pupa e il secchione” alle 4 di notte su Italia 2.
Durante il primo Lockdown, quello del 2020, una sera per gioco ho letto le recensioni delle prostitute su un sito specializzato. Una sorta di tripadvisor ma per puttanieri.
Le recensioni, ovviamente, non potevano dire esplicitamente cosa venisse fatto. I pagamenti non erano espressi in euro ma in VU (Velocità Urbana = 50€).
Questi racconti, un po’ fiabeschi, un po’ romanzati iniziavano tutti con “L’altra sera ho sognato…”.
Ci si poteva trovare dentro di tutto, anche la storia di quello che, vista la situazione di chiusura, aveva risparmiato così tanto da aver devoluto una cospicua cifra all’ospedale di Bergamo.
C’era anche chi, attento all’inflazione, ricordava a tutti che da clienti non avrebbero dovuto accettare nessun innalzamento delle tariffe dovuto allo stop forzato. Una vera e propria comunità con un minimo comune denominatore: la solitudine.
Ho notato che le recensioni migliori venivano date alle ragazze che chiacchieravano di più. Molte volte nei racconti l’accento era più sull’interazione iniziale, su eventuali coccole, sul parlare dopo l’incontro, più che sulla prestazione in sè. Anche perché su un sito del genere sono tutti maestri di Rocco Siffredi, si sa.
La gente era disposta a pagare l’intimità, ancor più di una fellatio.
Ovviamente anche io ho avuto le mie esperienze legate al mondo della prostituzione, fatte di giri in macchina con amici a dire: “Scusa ma quanto vuoi per tutti?”, come dei mentecatti.
Sapendo che non ci saremmo mai andati, ma sempre a guardare queste ragazze. Rifiutai un lavoro di trasporto prostitute, perché non mi pareva il caso di fare una cosa del genere. E poi sono stato ad Amsterdam.
Ad Amsterdam un giovane 23enne ci va per tanti motivi. Van Gogh, Anna Frank, i coffee shop e il quartiere a luci rosse.
Io ci andai con mio fratello e il mio amico Simone. Entrambi mori con gli occhi azzurri.
Io andavo in giro con un cappotto verde tipo eskimo e un cappello peruviano con i pon pon lunghi.
Tre scappati di casa che erano partiti senza neanche prenotare un’accomodation.
Una sera andammo nel quartiere a luci rosse. C’erano le ragazze in vetrina a fare il mestiere più antico del mondo, italiani che aspettavano altri italiani in mezzo alla strada.
Ricordo uno di Parma uscire e raccontare tutto agli amici, quasi fosse un sommelier della prostituzione – forse era il webmaster del sito di prima.
Un po’ come Renzo, il playboy del Bar Sport, il nostro aveva la capacità di ammaliare il proprio pubblico con monologhi dai dettagli seducenti, ma pressoché irreali. Perse per un attimo l’attenzione dei presenti ammettendo che quella non fu la sua migliore esperienza, ma quando iniziò a descrivere la bellezza di questa ragazza, con aria sognante e soddisfatta, quasi estasiata, disegnando con le mani la forma dei suoi fianchi, la riacquistò immediatamente. Un vero colpo di teatro.
Ad un certo punto arrivammo in un posto dove le donne non erano in vetrina, ma sul passaggio.
Una roba tipo un’attrazione di Gardaland, solo che al posto dei mostri, ad ogni angolo saltavano fuori delle donne stupende.
Mio fratello e il mio amico Simone mi precedevano, venivano toccati, quasi trattenuti da queste donne che si proponevano, che chiedevano loro di entrare. Erano come le sirene per Ulisse, pronte ad incantarci con il loro canto.
Lanciavano le loro braccia come corde pronte a catturare le loro prede. Con sguardi seducenti e corpi mozzafiato in vista. Ti facevano sentire desiderato.
O almeno lo facevano con i due davanti a me, perché quando passavo io si giravano dall’altra parte.
Insomma passi una volta, passi due, alla terza capii: avevo preso due di picche anche da donne a pagamento.
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