Riflessioni sui dispetti
Nel sondaggio Instagram di questa settimana aveva vinto l’articolo “Sono stato lasciato”. Ci ho lavorato e l’articolo esiste.
Non so se sia bello o brutto, a me ha divertito molto scriverlo. Poi ho visto il calendario: oggi è una giornata particolare per la persona di cui parla questo articolo e mi sono detto “È il caso?”

Avere un blog, quasi totalmente senza contraddittorio, ti fa sentire onnipotente. Se ognuno di noi dal suo profilo Facebook può dire quello che vuole, figuratevi quando paga un dominio e un host per farlo.
Ci si sente in diritto di poter dire tutto, su tutti, con la convinzione di essere sempre dalla parte della ragione.
Io non so se il mio articolo di oggi mi ponesse dalla parte del torto o della ragione, lo scopriremo Domenica quando sarà pubblicato. So che davanti a certi giorni e certi momenti serve anche delicatezza.
Le parole fanno male, dovremmo averlo imparato, ma in realtà nessuno se ne ricorda. Avere a che fare tutte le settimane con i mille vocaboli di ogni mio articolo mi ha insegnato tanto. MI ha insegnato il peso delle parole stesse, mi ha insegnato a valutare se fosse o meno il caso di utilizzarle.
Non saranno certo le visualizzazioni mancate di oggi a fare la differenza su quello che è il percorso di questo blog. Come ho sempre detto questo spazio è il mio tentativo di fare e di scrivere la cosa giusta, e in questo momento sento di fare proprio quella cosa giusta di cui tanto parlo.
Questo articolo non avrà i semaforini SEO verdi, non ci saranno link a qualcosa di esterno che vi faccia navigare meglio o citazioni edotte.
Questo articolo non avrà categoria, è solo la mia riflessione sul chiedermi se fosse il caso di poter infierire su una persona in un giorno delicato.
Non lo farò. Perché tacere, anche solo per pochi giorni, non è mai peccato.