Dispetto #71 – Tagliare i ponti
Lo ammetto: non sono mai stato campione mondiale di “lasciare andare quello che è stato”. L’ho detto anche tra le righe di un articolo di qualche tempo fa.
Per me è molto difficile pensare di non essere più niente quando per lunghi periodi sei stato la persona più importante per qualcuno. Sono convinto che sia impossibile dire “Ho voltato pagina” un minuto dopo aver concluso una storia importante.
C’è bisogno di tempo, lavorare su se stessi, capirsi per poi tagliare i ponti e dire “Adesso basta!” senza soffrirne.

Il percorso per dimenticare una storia importante è lungo e tortuoso. Io l’ho imparato a mie spese. Sentendo il bisogno di fermarmi, esattamente come feci qualche anno fa nell’ambito professionale.
Vagavo tra un lavoro precario e l’altro, sino a che rimasi disoccupato e decisi di fermarmi. Avevo bisogno di pensare, ascoltarmi, respirare e poi buttarmi dentro qualcosa di nuovo.
Allo stesso modo quando finì la storia dopo la mia storia più importante mi presi un po’ di spazio, dovevo fare i conti con tante cose del mio passato.
Durante il Festival di Sanremo Francesca Fagnani ha raccontato la storia di Lucia Montanino. La donna che aiutò, e tutt’ora aiuta, uno dei ragazzi colpevoli dell’uccisione del marito.
Una delle risposte più forti dell’intervista al Corriere uscita dopo il monologo della Belva è: “Se la morte di mio marito servirà per salvare un solo ragazzo, ci sarà un senso“.
Perché ho parlato di questa cosa? Per quel fatto che dal dolore si imparano le migliori lezioni, un retaggio cattolico. Puoi togliere un bimbo di Bergamo dall’oratorio, ma non l’oratorio da un bimbo di Bergamo.
Sono contrario a chi dice “Un esempio ispirante”. Però in questo caso devo ricredermi. Come se Lucia Montanino mi avesse dato le parole di cui avevo bisogno.
Ogni cosa ha un senso, trovarlo però è un percorso difficile. Il mio nel capire di non essere più importante per qualcuno con cui prima condividevo tutto è stato duro.
Signora mia capirà, ho un blog che parla di me, ha presente che ego mi porto dietro? Ci devo pagare il bagaglio in stiva su Ryanair.
Quando finì la mia storia più importante decisi che non sarei mai stato cinico con l’amore. Come quelli che dicono: “Ma chi te lo fa fare” quando incontrano un addio al celibato/nubilato – anche perché, spoiler, non è una cosa che fa ridere.
Pensavo, e continuo a pensare, che ognuno di noi si meriti una felicità come quella del giorno del matrimonio.
(Anche per questo non capisco come mai ad alcune persone questa felicità sia negata solo perché non ci piace che stiano con persone del loro stesso sesso)
Due persone quando decidono di sposarsi fanno una scelta coraggiosa: promettono di amarsi per sempre davanti al mondo con firma e impegno ufficiale. Ci vogliono coraggio e incoscienza, proprio come nell’amore.
Come si sa a me le cose non sono andate come previsto.
I motivi per cui la mia storia più importante è finita non li dirò certo qui. Sarebbe solo il mio punto di vista e le croci si fanno sempre in due.
C’è però una cosa che posso dire: quando stavamo insieme, e anche dopo, sentirmi trattato male mi distruggeva; risposte date in malo modo, con astio e rabbia che non pensavo di meritare.
Dopo esserci lasciati a volte mi hanno creato anche delle crisi di panico.
Per me era semplice: dopo esser stati insieme, in caso di un incontro fortuito, fa piacere vedersi, raccontarsi come si sta, come stanno le rispettive famiglie. Senza entrare nei dettagli della vita privata dell’altro o dell’altra, ma un rapporto cordiale tra due persone intelligenti che si sono volute bene.
“Come me capivo male”, citando Don Roberto davanti a Don Vito Corleone.
Risposte al telefono tipo: “Cosa vuoi?”, “Sbrigati” dette con denti digrignanti. Messaggi di auguri senza risposta. Diventarono la routine del nostro rapporto.
Una volta le mandai un messaggio per l’organizzazione di uno spettacolo che stavamo seguendo assieme: “Posso dare a te i nominativi dei prenotati, perché in biblioteca rispondono solo quando io non posso chiamare”. Non mi rispose, tra me e me pensai: “Dai Giò, non lo faceva quando stavate assieme lo farà adesso?” e iniziai a ridere. Ridevo di una cosa, che solo qualche mese prima mi avrebbe fatto piangere, venir fame d’aria, perdere il controllo di me, delle mie azioni.
Pochi giorni dopo arrivò un messaggio con scritto: “Ci vediamo Sabato per il divorzio”.
Nella chat quindi c’era “Posso prenotare a te” e “Ci vediamo per divorziare” come risposta. Feci uno screenshot e lo postai nelle mie stories con il commento: “Prenotate lo spettacolo, avrò una reazione più contenuta”.
“Mi fai schifo”, “Merda”. Le reazioni delle sue amiche. Una addirittura mi fece notare che “Avrei dovuto avere più rispetto della loro sensibilità di amiche”.
Per me il poter ridere di quel messaggio fu una bellissima vittoria. Era il mio modo di dire: “Adesso basta”. E poi quello era anche il mio di divorzio, se avessi avuto voglia di riderci, piangerci, ballare o cantarci sopra era una decisione solo ed esclusivamente mia.
E ora? Aspetto sempre che lei vada a prendere la sua bici da donna a casa dei miei. È lì da 7 anni, ancora 13 ed è mia per usucapione.
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