Dispetto #84 – I consigli peggiori
Quanto mi piace fare i sondaggi sulla mia pagina Instagram. Mi stimolano, devo trovare 3 argomenti di cui mi piacerebbe parlare e poi riuscire a dire qualcosa su quello che viene scelto. Immancabilmente è quello per cui non so assolutamente cosa dire.
È come stare sempre fuori dalla zona di confort. Lo faccio perché mi spinge a fare sempre meglio.
Lo dicono tutti, è un principio anche dell’improvvisazione teatrale – a proposito da Settembre ripartono i corsi della Compagnia Nazionale di Improvvisazione – quando fai qualcosa di diverso dal solito sei stimolato a fare di più.
Questo è uno dei consigli che più ho sentito nella mia vita, però come dice Ligabue: “Ho messo via, un po’ di consigli dicono è più facile. Li ho messi via perché a sbagliare sono bravissimo da me”.
Nel sondaggio Instagram ha vinto appunto: i consigli peggiori. Però non voglio parlare di quelli ricevuti, ma di quelli dati.

Io sono convinto di una cosa: le persone intelligenti imparano dal dolore. Gli altri si tatuano resilienza – per rimanere fedeli al claim di questo blog. Lo dice anche Willie Peyote in un pezzo devastante e bello come “Sempre lo stesso film”: essere forti non vuol dire non sentire dolore, ma conviverci, uscirne migliore.
Una frase che quando l’ho sentita ho pensato mi rappresentasse. Avessi una Smemoranda e 15 anni me la rigiocherei su tutte le pagine. Lo direi alle ragazze mentre mostro loro le stelle dicendo “Vedi quella è la mia”.
Invece di anni ne ho 38, la Smemo è solo un ricordo e sono cosciente della possibilità che al posto della mia stella ci sia un buco nero.
Vi ricordate quando durante il covid dicevamo: “Ne usciremo migliori”? Io ci credevo davvero.
Pochi mesi prima del covid avevo passato dei momenti devastanti. Fatti di giorni cominciati alle 7 e finiti alle 00.30, sempre fuori casa. Il mio tempo libero era una scelta tra il farmi una doccia o dormire.
Per questo ogni volta che in quei mesi sentivo qualcuno dire: “Ho un parente in ospedale”, io mi sentivo in dovere e obbligo di chiedere: “Ti serve qualcosa? Anche solo che vada io far la spesa per te?”.
Avevo sentito quanto fosse faticoso vivere in quella situazione e pensavo che mi sarebbe piaciuto aver ricevuto questo aiuto dagli altri. Cercavo di dare quel che avrei voluto ricevere. Quando sei stato male, vorresti che nessuno patisca quello che hai patito tu.
Nell’articolo sui rimpianti ho detto di aver fatto una promessa dopo essermi separato. Quella di non fare un’intera discografia su quel dolore.
In realtà le promesse furono due. La seconda era di non essere mai cinico con l’amore.
Auguro a tutti una felicità forte e bella come quella del giorno del matrimonio. Avevo una ragazza che però mi diceva: “la auguri a tutti ma a noi due no”. Non sapevo cosa rispondere, o forse lo sapevo ma non riuscivo a mettere in pratica la risposta. “Mi serve tempo”.
Dirò la banalità più banale del mondo, ma l’amore è bello. Amare una persona, avere qualcuno di cui prendersi cura e da cui farsi coccolare.
Sentirsi felici senza motivo quando si sta con lui o lei. Pensare che tutto possa essere più facile, affrontare le discussioni con la profonda convinzione che tanto una via d’uscita si troverà, semplicemente perché vi amate. È vero che l’amore a volte non basta, ma tutto il resto senza amore non serve a niente.
Allora perché essere cinico solo perché a me è andata male? Anzi, mi sono detto: “Se a me è andata male, è perché di sicuro qualche sbaglio l’avrò fatto, allora voglio evitare agli altri i miei stessi errori.” Proprio come dice il poeta: si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio.
Una volta una mia carissima amica, una persona proprio importante nella mia vita, mi chiese di vederci per una pizza. A me venne subito il dubbio: “Perché sei in giro da sola nel weekend? Solitamente ti vedi con il tuo ragazzo”.
Andammo a cena io, lei e la mia ragazza di allora, quella del “La felicità agli altri”. Lei ci raccontò la situazione che stava vivendo, la mia ragazza di allora cercava di darle conforto, io ascoltavo ed elaboravo le informazioni. Sentivo racconti sul comportamento di lui e pensavo a quanto fosse simile al mio.
Ero convinto che anche lui davanti ad una persona che gli dicesse: “Vuoi una mano?” avrebbe risposto “A sbagliare sono bravissimo da me”.
Nonostante questo feci sapere al lui della mia amica che se avesse avuto voglia di parlare mi avrebbe potuto chiamare o scrivere.
Non pensavo lo facesse, ma, tanto per cambiare, mi sbagliavo.
Lo ascoltai, cercai di capire la sua confusione, se eventualmente quella confusione avesse un nome.
Cercai di farlo ragionare sull’opportunità o meno di lasciare andare quella storia. Passai la serata a dargli degli spunti e degli input per ragionare su cosa fare. Non servì a nulla. Dopo poco lui e la mia amica si lasciarono.
Poche settimane dopo sul divano di casa la mia ragazza di allora mi chiese: “Ma Amica e fidanzatodiAmica che si sono lasciati, tu cosa ne pensi?”.
Parafrasando Falcone dissi “L’amore è un fatto umano, e come tutti i fatti umani ha un inizio e una fine”. Lo feci un po’ per vivere con distacco questa cosa. Nelle mie intenzioni quella era una risposta sensata. Dimostravo conoscenza delle frasi dei grandi di questo paese, applicandole ad un concetto semplice.
Inoltre pensavo che questa frase la rassicurasse. Era il mio tentativo di dirle: “Non ti preoccupare, a noi non succederà”.
Lei cominciò a piangere, mi disse: “Allora anche noi ci lasceremo?”. Da lì cominciò una lunga discussione finita due ore dopo, così come la nostra storia. A sbagliare sono davvero bravissimo da me.
Fui capace di far lasciare due coppie, seguitemi per altri consigli.
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A Giovedì prossimo.